Proseguiamo con gli appunti di preparazione al Corso di Base in Coaching Umanistico.
Vi ricordo che lo scopo di questo testo è scoprire alcune basi tecniche di come si conduce un dialogo di coaching. Le tecniche vanno subordinate al metodo che si trova nel Manuale di Coaching Umanistico in uso presso la Scuola di Coaching Umanistico. Nel testo si dà per scontato il metodo, che serve per fare domande, interpretazioni e ipotesi di lavoro.
Proseguiamo con le tecniche del dialogo nelle fasi della prima sessione di coaching.
3. Valutazione della fase libera
Valutare significa dare valore. Questa fase è dedicata alla valorizzazione di quanto il cliente ci ha fornito. Se lo psichiatra ha la carota dei geologi che buca il terreno e lo scava, il coach invece ha una mongolfiera che eleva ciò che è stato detto. I presupposti per l’opera di elevazione sono la disponibilità, la curiosità, lo stile personale. La prima fase di norma è di disorientamento. Il coach è disorientato, soprattutto se pensava che la soluzione fosse facile. Non ci capisce o peggio non si vedono soluzioni. Ma questo passaggio in realtà è molto positivo. Attraverso il disorientamento il coach riesce a comprendere qualcosa di nuovo e di sconosciuto. Incontra così l’originalità del suo cliente. Il coach deve superare l’associazione con altri casi e percorsi, individuando non solo ciò che accomuna un cliente con un altro ma soprattutto quale è la differenza fondamentale. Deve superare la sua opposizione al nuovo e alla scoperta, pur passando attraverso l’analogia e l’identificazione. Se siamo disponibili a riconoscere che dentro il coach sono presenti paragoni, riconoscimenti, identificazioni, associazioni, analogie, possiamo anche riscontrare differenze. Il fine è giungere a un’immagine del cliente come base per ragionarci sopra. Un’immagine che ci permette di costruire un modello di interpretazione e di intervento allo stesso tempo che rispetto la sua unicità.
È importante prendere coscienza della rappresentazione mentale e sentimentale che abbiamo del cliente. E domandarci: è un’immagine statica? Un’immagine dinamica? Cosa manca? Cosa la contraddice? Quali sono i suoi sentimenti? Quali rappresentazioni culturali ne derivano? Quali potenzialità emergono?
4. Ipotesi di lavoro
Nel coaching il focus si co-costruisce. La funzione omega (la meta da raggiungere) in particolare è la vetta che dobbiamo puntare nel nostro percorso di elevazione. In questo processo l’immaginazione creativa del coach è un fondamentale strumento messo a disposizione del cliente. Nel fantasticare il coach elabora il potenziale in un film sul futuro che mette a disposizione del cliente. Dentro il coach si vedono tantissime possibilità di sviluppo, diverse conclusioni della storia, La restituzione di questa fantasia è esatta solo quando non viene respinta ma nemmeno accettata passivamente. Se la storia è entusiasmante per il cliente, alla visualizzazione convinta e condivisa del percorso si aggiunge l’elemento qualità. L’elemento qualità è quel particolare sorprendente e convinto che il cliente aggiunge e che rende la storia qualitativamente diversa. Il suo contributo deve sorprendere positivamente lo stesso coach. Ma la situazione futura può non essere invece affatto chiara, l’importante è rendersene conto. È già una buona ipotesi di lavoro per il periodo successivo al percorso la formulazione di alcune domande circa il perché di questa mancata chiarezza. Inoltre può darsi che l’immagine che il coach ha creato del cliente sia inadeguata. La meta deve rispecchiare le potenzialità e i valori, ma se questa non è chiara, può essere che l’immagine sia sbagliata. È un’occasione per formularne una nuova. Siamo dentro un terreno positivo. L’immagine sbagliata ha promosso dentro di noi facoltà critiche e ci ha consentito di andare avanti.
In questa zona, collocata a tre quarti del dialogo, il coach deve essere in grado di imbastire una sorta di film mentale del cliente. In questo film è determinante vedere la relazione che c’è fra la persona (le sue potenzialità, le sue concezioni di felicità, le sue motivazioni e visioni del mondo) e il problema/obiettivo che pone in riferimento al suo contesto (aziende, relazioni, storia personale). Naturalmente se mancano troppi mattoni concreti-storici-culturali e immaginativi non possiamo costruire un’immagine mobile-dinamica della relazione fra la persona e il focus posto. È importante spiegare anche che relazione c’è fra la meta e gli obiettivi concreti che portano la sessione verso la fine.
5. Conclusioni del dialogo
La formulazione del patto di coaching e l’elaborazione degli obiettivi per la sessione successiva apre il breve periodo della conclusione del dialogo. In realtà il vero convincimento del patto formulato da parte del cliente avviene dopo la sessione di coaching. Quindi il patto va considerato una prima approssimazione, certamente non definitiva.
Poi ci salutiamo. La chiusura va ben curata. Prima del saluto c’è il pagamento. L’onorario di un coach è quel denaro che moltiplicato per il numero di ore che lavora, serve a procurargli di che vivere decentemente. Se qualcuno si illude di diventare ricco con il lavoro da coach, conviene che cambi mestiere. Ma vivere bene si può e si deve se volgiamo dare il massimo ai nostri clienti. La cifra deve essere dignitosa, adeguata e deve mettere a proprio agio il coach. Saluto e prossimo appuntamento.
Luca Stanchieri