COVID-19 Diario di Bordo
Epitteto nacque schiavo da madre schiava intorno al 50 d.C. Acquistato a Roma, ebbe modo di studiare filosofia e di essere liberato. Divenne uno dei più eminenti filosofi stoici, ma venne esiliato da Domiziano insieme ai matematici e agli astrologi. Fra gli ulivi e le coste dell’Epiro, Epitteto fondò la sua scuola, divenne famoso e sembra fece anche alcune sessioni di coaching spirituale ad Adriano. Nei suoi corsi insegnava ai discepoli a discernere ciò che dipendeva da loro da ciò che non dipendeva da loro. E li esortava a concentrarsi su ciò che dipendeva da loro. Il campo da gioco delle forze auto governate era interiore e riguardava il giudizio, l’impulso, il desiderio. Giudicare significa valutare e la prima valutazione che facciamo è distinguere il bene dal male. Governare l’impulso significa motivarsi ad agire verso il bene e a evitare o combattere il male. Esercitare il desiderio porta a individuare gli obiettivi da raggiungere. Valutare, motivarsi e stabilire obiettivi erano forme di allenamento alla libertà di scelta: una dottrina del poter essere, pensare e agire. Come ci può essere utile il vecchio maestro di origine turca, di formazione romana e di saggezza greca in questo periodo?
Stiamo attraversando la pandemia planetaria attraverso la navigazione a vista. Abbiamo carte nautiche antiche e coste simboliche da fiancheggiare. Gli strumenti che abbiamo sono tesori preziosi creati nel corso dei secoli: vanno dalle invenzioni dei veneziani nel 300 fino alle scoperte, fatte spesso a costo della vita, di uomini come Sommelweis o Jaseph Lister. Sono loro che ci hanno insegnato l’importanza del lavarsi le mani, mantenere le distanze, stare in quarantena. Le coste che seguiamo invece ci indicano la direzione verso uno stato di salute ripristinato cercando di minimizzarne i danni. La Psicologia dell’Emergenza ci offre alcuni vantaggi rispetto al pericolo con cui gareggiamo. Questo campo di studi scientifici studia gli effetti delle avversità sulla psicologia individuale e le misure per prevenire i danni. La quarantena è stata abbastanza studiata in vari contesti (da ultimo la rivista Lancet ne ha fornito un quadro sintetico ma utile).
Ne è emerso che si può attraversare una condizione di quarantena senza danni a medio/lungo periodo se si soddisfano quattro condizioni:
1. Avere un’informazione corretta su ciò che accade e perché e sapere come evolverà;
2. Essere proattivi durante la quarantena, non viverla come tempo sospeso di attesa passiva degli eventi;
3. Avere assicurati beni essenziali, come cibo, acqua, medicinali e servizi;
4. Rafforzare il senso di altruismo.
Ne discende che se gli allenamenti di Epitetto rafforzassero queste condizioni potrebbero risultare utili. Il coaching Umanistico riprende le sollecitazioni dell’ex schiavo in un metodo volto a valorizzare le potenzialità umane. Applicandolo, come Scuola, abbiamo imparato una serie di lezioni che vogliamo offrivi. Le abbiamo elaborate come “buone novelle” (ricordando Boccaccio) utili a tutti coloro che stanno affrontando questo periodo e possono esserne ispirati. Non si tratta di allenare l’emulazione e l’imitazione, ma di trarne giovamento, per sviluppare la creatività di ognuno di noi. Coloro che abbiamo allenato durante questo periodo sono tre categorie di persone: 1. Personale sanitario; 2. Imprenditori, manager e tenici; 3. Adolescenti e famiglie. Le generalizzazioni di seguito riportate proteggono la loro privacy, anche perché nessuno ricerca riflettori di alcun tipo.
Un primo elemento che emerge da questi esempi è un’ottima notizia: non siamo in guerra.
Abbiamo infranto un paradigma illusorio come ha affermato Papa Francesco: pensavamo di poter essere sani mentre ammalavamo il mondo. Ma affrontare una malattia non è fare una guerra. Comprendere la condizione in cui stiamo è il primo allenamento di Epitteto (il giudizio) e la prima raccomandazione della psicologia. Una guerra è un complesso di azioni violente per distruggere un nemico. Qui si tratta di curare, curarsi e mettersi in una condizione di sicurezza. Il nemico, se così vogliamo chiamare una sequenza di nucleotidi, non può essere abbattuto, ma va neutralizzato nelle sue minacce mortali (per esempio con un vaccino). Le persone in prima fila non si sentono in guerra. Si sentono parte di un’imponente impresa terapeutica e costruttiva. Non vedono chi passeggia o fa una corsetta come dei disertori da fucilare (vedi dichiarazioni di De Luca). Non anelano a un impero autoritario che nega i morti, la realtà, nasconde le informazioni e impone il coprifuoco con l’esercito. Non tifano per la delazione. Anelano alla solidarietà, all’aiuto reciproco, alla responsabilità individuale, alla consapevolezza comune frutto del dialogo, non delle prepotenze o delle minacce. Ma veramente si crede di poter mettere in quarantena milioni di persone con delle multe???
Chi cura può ammalarsi e fare ammalare: che c’entra tutto ciò con le logiche di guerra? Essendo in prima linea le persone che abbiamo il privilegio di allenare non hanno tempo nemmeno per le teorie complottistiche che pullulano grazie alle chat. Non siamo in guerra e non siamo vittime di complotti, siamo protagonisti attivi di un’imponente opera di terapia e prevenzione. Chi si ammala, rischia di ammalare anche gli altri; chi si cura, permette ad altri di curarsi. Non ci sono nemici, o si vince o si perde tutti insieme. Le armi dell’odio, del disprezzo e del risentimento, non sono innocue, ma dannose. Serve coscienza, amore e senso di identificazione. Non ci sono stati che devono combattersi per opprimere o difendersi. C’è una sola umanità, spezzata, colpita e impaurita. Oramai sono più di un miliardo le persone in quarantena.
I dati che ci forniscono sui contagi sono fatalmente incompleti, mancando i tamponi. Oltre i centomila contagiati, c’è un’area mutevole di febbricitanti, raffreddati e asintomatici che possono essere positivi e diffondono il contagio dentro le mura domestiche, dove non è possibile autoisolarsi. I dati dunque sono indiziari, come lo è il numero dei morti. Per scongiurare l’invasione dei Pronto Soccorso, le autorità hanno invitato a far uso del medico di base, a non farsi prendere dal panico, a rimanere in casa. Oggi però l’invito è già cambiato. Molti muoiono perché vanno in ospedale troppo tardi. Un saturimetro può rivelare la carenza di ossigeno anche se non si hanno ancora difficoltà respiratorie. E’ sufficiente per farsi ricoverare.
Con i medici, i farmacisti e il personale sanitario che seguo parliamo spesso di questa situazione, tenendo sempre in conto i dati che vengono da fonti autorevoli (non abbiamo tempo per i social) e l’esperienza di realtà. Sappiamo che l’epidemia durerà mesi, anche se il governo vara misure settimana per settimana. Sappiamo che la scuola non riaprirà. L’anno scolastico continua online, ovvero è finito sotto false vesti. Ne avremo ancora per parecchio. Avere la consapevolezza che si stanno mettendo in campo tutte le forze per curare, che la solidarietà e il senso di responsabilità delle persone hanno creato una potente barriera preventiva, ci dà la massima consapevolezza possibile della situazione in atto e dell’impegno che dobbiamo portare a termine. Dentro questa consapevolezza, che quindi non ci fa essere attendisti, ma proattivi, ognuno di noi è chiamato a svolgere il suo compito e a coltivare la sua creatività.
Possiamo farlo grazie all’impegno profuso dal personale sanitario. Dai percorsi di Coaching, allenando potenzialità, valori e talenti, si evince che medici o infermieri non si sentono affatto degli eroi. Cercano anzi di alimentare una visione della medicina che sia buona e eccellente. Sono persone motivate da una grande passione per il loro lavoro, da un’etica solida, da un impegno straordinario come richiede l’emergenza e dalla ricerca di un miglioramento continuo in quello che fanno. I loro sentimenti di amore per la vita li hanno guidati anche attraverso le emozioni più dure. I farmacisti veneti, limitrofi alle prime zone rosse, hanno in primo luogo messo in sicurezza il loro personale e loro stessi, distribuendo farmaci a porte chiuse o a domicilio. In un piccolo paese trasformare una farmacia in un focolaio sarebbe stata un’autentica tragedia. Il farmacista è un medico, un confidente, un punto di riferimento. Loro stessi per giorni non hanno avuto mascherine, non da vendere, ma da indossare! I medici emiliani mi hanno raccontato come le loro equipe si siano trasformate in laboratori di ricerca e di intervento. Dalla refertazione alle terapie, hanno creato nuovi protocolli e strumenti, hanno fatto squadra, hanno cercato di imparare dalle esperienze più tragiche, senza mai smettere di essere umani, solidali, accoglienti, gentili. Chi è isolato dai propri affetti ha anche bisogno di vicinanza umana, oltre che di una medicina efficace. Molti di loro sono a rischio. Non hanno Dispositivi di Protezione adeguati. Il loro è un rischio duplice. Possono ammalarsi e trasformare gli ospedali in luoghi di contagio. E allora cercano perlomeno di proteggere i loro familiari. Dormono fuori casa: chi in ospedale, chi allo studio, chi in albergo. Un paradosso: donatori di cure e minacce potenziali. Ma seguendo Epitteto, si concentrano su ciò che dipende da loro. Non hanno tempo per capire come mai i dispositivi non arrivano, ma basta leggere l’indagine sul Corriere della Sera per comprendere come si sono persi fra speculazioni, ruberie, truffe o burocrazie. I nuovi avvoltoi oggi sono mercanti di mascherine e tamponi.
(CONTINUA…)
Luca Stanchieri