Nella psicologia pop e nel senso comune, il limite ha un’accezione negativa. E’ indice di finitezza, ostacolo, barriera e chiusura. E’ inevitabile e insuperabile. Adattarsi significa accettarne l’esistenza. Certamente il limite definisce l’essere specifico. Come una cellula si definisce dalla sua membrana, così un essere umano dai suoi confini fisici, spirituali e performativi. Ma come una membrana è dotata di canali che ne permettono la relazione con l’ambiente, i confini mettono in contatto la persona con il contesto. La cellula come l’essere umano in questo scambio evolve, si sviluppa, si modifica e fa evolvere e modificare l’altro da sé con cui scambia. Il limite diviene combinazione di Limes, che indica il confine e Limen che significa passaggio. In un contesto performativo, il limite è un’incognita da scoprire con la stessa complessità che la matematica ha messo in atto per calcolare quell’infinitesimo punto a cui tendere senza arrivarci. Come affermava Kurt Lewin, una performance (P) è il risultato dell’interazione fra l’essere umano (E) e l’ambiente (A), caratterizzati da scambio e influenza reciproca P = f(E, A). Per fare la maratona in meno di due ore, Kipchoge ha avuto a disposizione decenni di pratica di allenamento, tecnologia, alleati, risorse idriche e nutrizionali, strade pulite, partner e strumenti che ne agevolavano i ritmi, alleggerendo la fatica mentale di sostenerli. E’ stata un’impresa unica nel suo genere (per capirla provate a correre un solo chilometro in 2’50’’) e, a differenza di quella di Bannister, non sarà immediato superarla. Per scovare quel limite, decine di esperti si sono messi a disposizione del maratoneta: tecnici per le scarpe, fisiologi per i ritmi circadiani, metereologi per la temperatura ideale oltre a nutrizionisti, decine di “lepri”, allenatori, medici, ingegneri e fisioterapeuti. Kipchoge è stato l’unico nel riuscire in questa impresa. E per quanto abbia corso in un ambiente facilitante, aspetteremo molto tempo per superare quel limite. Proviamo a trasporre questa impresa nella vita quotidiana. Pensiamo alla cura di noi stessi, alla cura delle relazioni, ai nostri obiettivi di vita o alla nostra felicità. Pensiamo a quale ambiente scegliamo e costruiamo per scoprire i nostri limiti, a quali allenamenti e abitudini ci sottoponiamo per scovarli, a quali tecnologie facciamo ricorso per migliorare, a quali comportamenti mettiamo in atto per rendere felici noi stessi e gli altri. Facciamo mente locale. Riusciamo a scoprire il limite delle nostre prestazioni nell’amare la vita, noi stessi e le persone che ci sono care? Convincersi a priori che il limite va accettato, implica darlo per scontato. In realtà, la sua scoperta, in qualunque campo della vita, non è impresa facile. Per individuarlo, dobbiamo costruire le condizioni ottimali della relazione fra noi e l’ambiente tali che la nostra prestazione non può essere che la migliore possibile. Scoprire il limite non è scoprire un ostacolo, ma metterci in grado di realizzare il meglio di noi stessi. E come Kipchoge molto presto dimostrerà, quando trovi un limite esprimendo l’ottimo di te stesso, hai già costruito un nuovo potenziale. Subentra a questo punto un’altra scelta. Puoi cercare di superarlo o confermarlo o scegliere di attestarti a un livello “più basso”, ma per te migliore. Luca Stanchieri (dal Corso Base per Coach Professionisti) Scrivimi a luca.stanchieri@scuoladicoaching.it per i tuoi commenti e feedback sull’articolo. |