Appunti per il seminario L’avvio della Professione del Coach Umanista (Roma, 14/15 luglio 2017)
In principio c’è il sentimento
Diventare un coach umanista non è difficile. Basta studiare e esserne appassionati. Difficile è crescere come coach umanista, sviluppare un talento eccezionale e poter vivere una vita dignitosa per tanti anni; almeno fino a che non si sceglie di fare un altro lavoro. E’ difficile perché è un lavoro duro, che nuota controcorrente.
Proporsi come coach sovverte le regole del marketing; non si parte dal mercato, ma dalle proprie passioni; non si ha un prodotto ma un metodo che lo genera in collaborazione con il cliente; non si convince e non ci si vende, ma lo si spiega e ci si propone. Spesso capita di sentire persone che amano costruire un prodotto ma detestano occuparsi del lato commerciale e viceversa. Per un coach umanista è impensabile. La passione per il coaching invera la gioia della divulgazione almeno quanto il realizzarla concretamente. Non c’è differenza fra produzione e commercio; la divulgazione genera lavoro e il lavoro genera nuova divulgazione. E’ però un’impresa dura che non è affatto alla portata di tutti, perché richiede due cose speciali: l’amore per questo lavoro; la competenza di base sullo sviluppo del talento.
L’amore per il coaching e l’umanesimo sorge in modo spontaneo ma va difeso e curato. A me è capitato di incontrarlo mentre svolgevo un tirocinio gratuito. Cercavo un metodo che non fosse di cura ma di sviluppo delle potenzialità umane; l’ho incontrato alla Scuola dello Sport del Coni al Dipartimento di Psicologia (Dipartimento che non esiste più!!). Me ne sono innamorato perché dopo anni di studio di economia, filosofia, storia, antropologia e psicologia intorno alle potenzialità umane, non aveva ancora trovato una teoria, un metodo e una prassi di intervento. Dunque con il coaching è stato amore a prima vista. Ma difendere e prendersi cura di questo amore non è stato e non è facile. In primo luogo non viviamo certo in un momento storico dove l’umanesimo connota il clima sociale e culturale. Viviamo in un’epoca di decadenza densa di pericoli e di gravi minacce per la vita e di oppressione delle migliori facoltà umane. In secondo luogo, l’industria del coaching ha sfornato, insieme a tante meraviglie, un insieme di scuole e metodi (e quindi di coach) che sono estranei rispetto allo spirito originario; alla base del coaching c’è l’inquietudine delle domande, le sollecitazioni sfidanti della maieutica socratica e non le banalità moralistiche diffuse a palate sul web.
Prendersi cura dei propri sentimenti non è facile e molti coach di valore a volte perdono la bussola e saltellano di palo in frasca senza sapere nemmeno loro quello che vanno cercando. Quando si trovano a unire i punti come sollecitava il certo non simpatico Steve Jobs, non gli viene nemmeno il disegno della Settimana Enigmistica.
Il sentimento di amore va sollecitato, va scelto e riscelto attraverso il significato che ha il nostro lavoro. L’amore non è solo fondamentale per l’oggetto metodologico e teorico, ma per il suo fine. Rendere più felici gli altri è certo atto di amore, di un amore speciale perché si nutre di competenza complessa, sempre da esercitare e mai acquisita del tutto, e non solo di volontà o di buone intenzioni. E’ un amore che ritorna nella nostra sfera più intima, perché offre significato e senso alle nostre esistenze professionali e non solo. Essere un coach diventa allora una gioia autentica, perché solo se autentica ha senso. E’ finita l’epoca in cui si amava l’umanità e si odiava chi la pensava diversamente. Essere umanisti significa amare la vita, difenderla e farla fiorire ovunque. Ogni mattina quando apro il mio studio e ricevo il mio primo cliente, ho la netta sensazione di avere uno straordinario privilegio. Ci si dimentica troppo spesso che il coach condivide la sua vocazione con quella dell’artista che riesce a vivere del proprio lavoro. Entrambi sono stati chiamati, hanno ricevuto un dono, spesso da fonti misteriose, verso cui essere sempre grati. E’ solo coltivando l’amore che il coach può affrontare la fatica epica che questo lavoro comporta.
(I Parte di tante altre)
Luca Stanchieri