Maestro, nelle tradizioni culturali più nobili, è colui che si adopera per migliorare prima se stesso e poi si suoi discepoli. Il maestro dimostrava nella vita, nelle opere e nelle relazioni che ciò che per altri era improbabile o impossibile era in realtà fattibile. Una volta dimostrato questo, il maestro illustrava la modalità con cui tale trasformazione avveniva. La sua figura all’origine destava una meraviglia, che sollecitava la motivazione e ispirava l’imitazione come via di apprendimento. Ogni alta cultura è nata dalle ascese acrobatiche di questi maestri, capaci di essere famosi come star e umili come il primo degli allievi. I Magister, i Rabbi, i Guru e i Bramini incarnavano in primo luogo la grandezza a cui era giunto il maestro, prima di insegnarla. Il Budda era in grado di insegnare perché aveva raggiunto l’illuminazione. Gesù non offriva precetti astratti, ma la possibilità di cambiare vita attraverso il suo esempio sul campo. Aristotele diceva di Platone: «Egli solo, o per primo, mostrò chiaramente ai mortali con la vita e con i suoi discorsi come si diventa buoni e felici, cosa che nessuno riesce più a fare»..
Un leader è umile nella misura in cui prima di dirigere dimostra la sua competenza nel fare, nel generare, nel produrre opere e relazioni straordinarie che migliorano il benessere di un individuo, di una relazione o addirittura di una comunità.
La persona si trasforma in allievo motivato e attento quando assiste con meraviglia, con stupore a una performance alta che ammira. Dall’elevazione dell’esempio al rango di modello, hanno origine le tensioni, gli sforzi, i sacrifici degli allievi. Ciò che è straordinario viene trasformato in un incitamento all’imitazione più intensa. E si può fare perché gli allievi sono stati attratti dall’opera e dall’esempio e le loro motivazioni hanno già mobilitato gli istinti mimetici. L’emulazione non tollera che si possano ammirare i meriti altrui vedendoli del tutto assenti dalla propria potenziale portata.
Un leader dunque è tale se trasforma la sua impresa in qualcosa che è insegnabile. In terzo luogo un leader è tale se forma altri leader capaci anche di superarlo.
Questi leader positivi, innovatori, pionieristici esistono. Nelle aule, nelle famiglie, nei quartieri, nelle aziende, nelle parrocchie ci sono leader innovativi che propongono nuove idee. Ma fanno fatica, perché con la crisi di autorità è entrata in crisi l’umiltà stessa dell’allievo potenziale.
L’apprendimento infatti richiede sempre un bagno di umiltà. In luogo del cinismo e del disincanto dove tutto è banale, l’umiltà permette di riconoscere con sentimento positivo di benevolenza, stupore e stima che ci sono persone che conoscono meglio di noi, che hanno una saggezza superiore alla nostra, che hanno un talento che produce opere di meraviglia o che, semplicemente, hanno una maggiore esperienza. L’umiltà permette in primo luogo di riconoscerle, in secondo luogo di avere il potenziale per apprendere. Al contrario, la superbia trasforma la possibilità di apprendere in segno di debolezza, la soggezione di fronte al maestro in disagio psicologico, il talento frutto di mille fatiche in un tratto genetico. L’umiltà permette all’allievo in primo luogo di mettersi alla ricerca del suo maestro. Nella nostra condizione, difficile da trovare, ma non impossibile.
L’umiltà come talento dunque è alla base della formazione di una nuova e auspicabile classe di leader e di maestri e di nuovi luoghi creativi come lo erano i monasteri o i ginnasi come possibili fucine del talento, dove chi è disposto ad apprendere e elevarsi possa avere tutte le condizione per farlo.
Luca Stanchieri