Prepariamoci al Corso di Base in Coaching Umanistico cominciando ad acquisire tecniche elementari ma fondamentali del Dialogo di Coaching.
Appunti iniziali su Tecniche del Dialogo di Coaching
Lo scopo di questo testo è scoprire alcune basi tecniche di come si conduce un dialogo di coaching. Le tecniche vanno subordinate al metodo che si trova nel Manuale di Coaching Umanistico in uso presso la Scuola di Coaching Umanistico. Nel testo si dà per scontato il metodo, che serve per fare domande, interpretazioni e ipotesi di lavoro.
Lo scopo
Il dialogo di coaching punta in primo luogo ad una conoscenza. Quale è l’oggetto del dialogo? Mentre un dialogo psicologico si rivolge alla realtà psichica dell’individuo, quello del coaching si rivolge alla realtà culturale dell’individuo che ci sta di fronte e alla sua possibile elevazione. Il coach è infatti un cercatore di potenzialità culturali che si trasformano in valori guida, competenze da allenare e progetti di autorealizzazione. Ogni cultura, locale, individuale o collettiva è sedimentazione stratificata di complessità che può essere colta solo se la si rispetta.
Lo stile
Quale atteggiamento deve avere il coach al primo dialogo? Lo stile che assumiamo spesso è mediato da fattori culturali del coach. Come formatore di coach, ho notato che i nostri coach alle prime armi mettono in scena degli stereotipi professionali molto divertenti. Abbiamo il coach dottore, molto formale, compito e spesso accigliato, quello stile receptionist d’albergo, che sembra appena entrato in un party, quello che “sa la tecnica” con il sorriso finto e la movenza costruita, poi il coach simpatico che è amico di tutti, dal sorriso smagliante e l’anima buona. Sono posture che rischiano di essere fittizie. Lo stile di un coach umanista è fondato sull’autenticità. Sono convinto quindi che ogni coach debba sviluppare il suo stile personale. Se ci pensiamo, ognuno di noi ha uno stile per conoscere una persona nuova e impostare un dialogo anche con un estraneo. Pensate: la visita di un parente a casa vostra, un parente amico affezionato e un parente che conoscete alla lontana, oppure una persona che conoscete da poco, o ancora pensate in un gruppo di amici di conoscere una persona nuova. Che stile mettete in atto? Come avviate il dialogo? Come ascoltate? Combinare lo stile personale il metodo e la competenza professionale permette di elaborare uno stile comunicativo autentico, disponibile e professionale che consente al cliente di sentire che non ha di fronte a sé una statua, un robot artefatto marcato pnl o un simpaticone, ma una persona disponibile e sinceramente incuriosita che ha a disposizione un metodo per facilitargli un compito che non è facile.
La regola del linguaggio e della reciprocità
La formulazione di questa regola è semplice: in linea di massima il linguaggio che si adopera durante un dialogo è quello del cliente. Dobbiamo parlare nel linguaggio quotidiano di uso corrente, evitando accuratamente di usare un linguaggio tecnico-scientifico senza scadere nel luogo comune.
La relazione di coaching è una relazione asimmetrica e complementare. La comunicazione di aspetti personali del coach è inevitabile e salutare, ma essa non riguarda aspetti concreti, personali o particolari isolati della personalità del professionista, come il fatto che gli piaccia fare equitazione o gite in montagna. Interagendo con il cliente, il coach comunica chi è, ma questo è un’altra cosa dal comunicare nostri desideri personali o nostri modi di pensare in generale. Una delle riprove che il percorso di coaching è andato molto bene è la certezza del cliente di conoscere molto bene il coach senza sapere nulla della sua vita. Un cliente che si esprime così ha potuto fidarsi finalmente di sé per capire il proprio pensiero e quello altrui.
La regola della reciprocità. Il cliente uscendo da una sessione deve avere ricevuto almeno quanto ha dato. Il primo motivo è di tipo umano: se una persona ha cercato di esporci qualcosa della sua situazione relazionale o lavorativa ci ha offerto qualcosa di prezioso, contraccambiare è d’obbligo. Questo significa che il coach può restituire ipotesi, idee, co-costruire progetti e percorsi, insomma dire la propria, come coach. I coach che per un’ora fanno solo domande e concludono con banalità, rappresentano un modello superato. Per il Coaching Umanistico, il ruolo del coach è determinante. La differenza con il consulente non sta nel non dare i consigli. Un consulente si sostituisce al cliente con la sua professionalità (es. un avvocato o un architetto), un coach allena il cliente a essere protagonista di quello straordinario progetto sentimentale e culturale che è la sua vita.
Luca Stanchieri