Prepariamoci al Corso di Base in Coaching Umanistico cominciando ad acquisire tecniche elementari ma fondamentali del Dialogo di Coaching. Oggi vediamo la struttura e le tecniche del dialogo per la prima sessione di coaching.
Lo scopo di questo testo è scoprire alcune basi tecniche di come si conduce un dialogo di coaching. Le tecniche vanno subordinate al metodo che si trova nel Manuale di Coaching Umanistico in uso presso la Scuola di Coaching Umanistico. Nel testo si dà per scontato il metodo, che serve per fare domande, interpretazioni e ipotesi di lavoro.
Tecnica del Dialogo per la Prima sessione di Coaching Umanistico
1. Preliminare
1.1. Appuntamento (per contatto personale o attraverso terzi)
1.2. Cura del set (luogo)
1.3. Assunzione della domanda di coaching
- Inizio e riconoscimento
2.1 Presentazione formale e accoglienza
2.2. Inizio:
– Presentazione della domanda (funzione alfa)
– Fase libera: curiosità
3. Valutazione della fase libera
– Problemi, obiettivi, sentimenti, rappresentazioni, potenzialità
– Dalla domanda alla committenza
4. Ipotesi di lavoro
4.1. Restituzione della domanda;
4.2. Lettura della cultura;
4.3. Restituzione potenzialità;
4.4. Ipotesi di lavoro: accenni alla funzione omega
- Conclusioni
5.1 Conclusioni del coach (formula di apertura, riassunto, prospettive)
5.2 Condivisione del patto di coaching e primi assi operativi (es. cura di sé)
5.3 Appuntamento successivo ed eventuale pagamento
6. Report
6.1 Stesura libera con ricostruzione o ordinata;
6.2 Riflessioni interpretative
6.3 Uso del report
1. Preliminari del dialogo
L’appuntamento. In pratica l’appuntamento o lo fissa il coach con il cliente o il coach con il committente (es. responsabile aziendale, genitori, allenatore). L’appuntamento va fissato dal coach in condizioni che possa essere completamente concentrato con il cliente. Ci può essere anche la mediazione di una personal assistant del coach che però va adeguatamente formato. Inoltre l’appuntamento può essere preso dalla persona o dal committente (es. genitori per il figlio o azienda). È importante in tal caso la chiarezza del luogo e dell’ora. Nel fissare un appuntamento non dimenticate di avere il telefono del cliente. In linea di massima l’appuntamento non va spostato, ma l’imprevisto può sempre accadere.
Cura del set. La prima sessione è sempre bene farla di persona. Il luogo quindi è determinante. Può essere lo studio del coach o in azienda. In tutti i casi il luogo deve essere confortevole, protetto e silenzioso, senza interferenze. Successivamente il percorso può essere fatto anche via telefono o skype. Le condizioni devono essere identiche. Sia al telefono o via skype, non ci devono essere rumori, distrazione, disturbi.
Assunzione della domanda di coaching. Previo all’appuntamento è il motivo per cui il cliente sta pensando a una sessione di coaching. Gli errori più comuni sono quelli di spiegare per tre ore il coaching e la differenza con altri percorsi. In realtà se la domanda sembra una domanda adeguata alla professione, il coach fissa una prima sessione (alcuni la fanno gratuita), per verificare concretamente e non teoricamente, se il coaching umanistico può essere effettivamente utile al cliente. In questa sessione è il cliente stesso protagonista di questa verifica.
2. Inizio e riconoscimento
Presentazione formale e accoglienza. Intanto cominciamo con il presentarci. Un buongiorno, una stretta di mano e un’indicazione precisa dove accomodarsi sono le basi dell’accoglienza.
Presentazione della domanda: informazioni preliminari. Una volta fatto accomodare il cliente, basta una breve frase per farlo parlare. È un breve periodo iniziale che contiene un elemento fondamentale di riconoscimento. Noi abbiamo una serie di informazioni preliminari sul cliente e altrettante ce le ha lui. Sono pre-conosciute. La fase iniziale serve a conoscersi davvero, le prime impressioni di entrambi sono soggette a verifica.
Fase libera: ci siamo presentati, ci siamo seduti, abbiamo mentalmente scelto il dialogo libero ed eccoci qui: come comincerà il nostro cliente? Come nel gioco di scacchi ci sono alcune aperture tipiche ma non c’è una regola. Tre modalità sono ricorrenti. Il cliente può partire dal problema/obiettivo; dalla propria storia personale o professionale; dal contesto, come l’azienda, la famiglia o la relazione. Mollati gli ormeggi il dialogo parte. Su questo piano ci sono tre errori tipici del coach:
a. il problem solving: il coach comincia a cercare la soluzione del problema prima ancora di aver compreso che relazione ha la persona con il suo problema;
b. la consolazione: il coach minimizza e sembra dire di non preoccuparsi che va tutto bene;
c. l’indagine: il coach si trasforma in un detective per capire “quello che c’è dietro”.
Per evitare questi errori, il coach deve allenare il suo interessamento, ovvero la curiosità e l’amore per il sapere. Queste potenzialità creano un momento sacro: il momento in cui il cliente comincia a sentire di poter pensare e poter comunicare il proprio pensiero. Nella prima sessione, un primo intervento del coach può essere fatto a tre quarti della sessione. Si tratta della restituzione. Una restituzione è fatta sempre in termini di riformulazione, in termini di linguaggio, del racconto che ha fatto il cliente in termini di problema/obiettivo, caratteri culturali di inquadramento (rappresentazioni culturali e sentimentali), contesto di riferimento. Una riformulazione non è un’interpretazione camuffata. E’ frutto di curiosità, interesse e verifica la comprensione. Diventa condivisione e dunque sanzione dell’alleanza. Sono emersi pensiero, rappresentazioni, sentimenti, contesti, dinamiche relazionali, storie: su tutto questo il coach deve essere in grado di pensare, ma solo se ha verificato di aver capito ciò che ha detto il cliente.
Luca Stanchieri