Nelle dimensioni aziendali attuali, l’acuta necessità del controllo fa strani scherzi. Taylor non avrebbe mai immaginato che i suoi brillanti studi sui processi potessero nel futuro scatenare fantasie del tutto irrazionali. Forse è la fine a cui vengono destinate le pretese di scientificità applicate alle relazioni umane, financo a quelle tanto care alla lean. Si sfocia nel pensiero magico o nella banalità. Un esempio paradigmatico è la valutazione della performance. Il parametro principe utilizzato è il risultato. Seguendo il dogma contabile, la performance deriva dal risultato: se il risultato è buono la performance è buona; se vinciamo, abbiamo giocato bene. Vittoria, promozione, fatturato, seduzione divengono prove di giudizio a posteriori. Il solerte controllore della gestione evidenzia in rosso ciò che può deludere i suoi capi; ma nulla sa del perché e del come. In realtà, i risultati sono frutto della molteplicità di azioni, relazioni, reazioni, alcune governabili, altre no. Che si vogliano risultati positivi è legittimo. La paura di non sopravvivere in un mercato dove vige la legge del debito insoluto piuttosto che della crescita economica è comprensibile. Ogni impresa deve in primo luogo sopravvivere. Ma la paura va governata altrimenti il pensiero assume le modalità della fuga o dell’attacco. Se vogliamo fare una valutazione della performance prima che il risultato sia conosciuto, quali criteri potremmo usare?
Nel coaching umanistico, sappiamo che la performance è sottomessa a due dimensioni: la felicità e la crescita di chi la mette in atto. L’azione più efficace è quell’azione che realizza la maggiore felicità dell’attore e che ha la caratteristica di retroagire sull’attore stesso in modo da farlo crescere. Quando analizziamo l’efficacia in termini di obiettivi, abbiamo presente il tempo, gli alleati, la combinazione fra obiettivi e capacità, l’armonia fra mezzi e fini, i possibili ostacoli. Questo apparato di strumenti è determinante ma non sostituisce la qualità dell’azione. Ogni azione è allenamento. Nell’universo delle ripetizioni corroboranti, possiamo perlomeno distinguere due sport le cui regole del gioco sono molto distanti. L’azione nel quadro di un mindset statico, l’azione nel quadro di un mindset dinamico. Nel mindset statico, il paradigma è tutto o niente. Rientrano in questa sfera il capace e l’incapace, il portato e il non portato, il sicuro e l’insicuro, il talento o lo scarso. L’azione diventa il banco di prova del corredo genetico. Non ci si meravigli che gli effetti collaterali retroagiscano attraverso combinazioni sofferte di staticità e retroscendenza. Nel mindset dinamico, l’azione invece è vista come allenamento positivo e affermativo. Ogni riunione, ogni incontro, ogni compito diventa un’occasione di implementazione di capacità e competenze. Dove sta allora il punto di svolta? Sta nell’uso che facciamo delle potenzialità personali, nella veste di competenze, di valori e di magneti per l’acquisizione di nuove competenze. Taylor non aveva in mente la crescita delle persone, ma del profitto.
Ha funzionato fino a che il profitto si automoltiplicava creando il mercato, mentre lui stesso si allenava nel tennis e nel golf. Con l’entrata in scena del cliente, non ha più funzionato. E persino nelle aziende tayloristiche, nella prima metà del 900, si è visto che se le persone partecipavano al processo fornendo consigli su come migliorare, erano più felici e più efficaci. Oggi ogni azione deve essere ispirata dal valore per essere un’azione di valore. Ma nel momento in cui l’azione si ripete, il valore si verifica, si mette all’opera, di esplica, si dispiega e retroagisce in termini di soddisfazione e di crescita valoriale della persona che agisce. Interviene nel suo essere e rappresentare. Nel suo essere perché cresce come persona, nel suo rappresentare perché scopre la valenza e la bellezza del valore stesso. Il Rinascimento è riuscito a fare sistema su questo allenamento e gli artisti hanno avuto la possibilità di autosuperarsi incessantemente. Il fulcro è stata la bottega, un vero e proprio ginnasio dove l’autoaccrescimento era l’elemento decisivo. Ogni azione ispirata dai valori ha la possibilità di essere verificata e di verificare i valori che la ispirano. E come crescono i valori, crescono le competenze tecniche. Nel coaching umanistico la performance è sempre un allenamento di crescita. Quanto siamo cresciuti agendo? Quanto siamo soddisfatti? Se si segue la performance come allenamento di autoaccrescimento continuo, come il Rinascimento ha ampiamente dimostrato, i risultati possono essere straordinari. Perfino i controllori potrebbero gioirne e finalmente superare le loro ansie di sopravvivenza, godendosi la fioritura di opere e prodotti che esaltano la vita, anche e soprattutto di chi le ha prodotte.