Le adolescenze

Esistono due adolescenze: una fisiologica e una esistenziale.

L’adolescenza fisiologica ha inizio con la pubertà e si conclude verso i venti anni. Le neuroscienze hanno dimostrato che la caratteristica dell’adolescenza è la plasticità cerebrale. Il sistema nervoso centrale è dinamico ed è disposto a modificarsi in funzione degli allenamenti ripetuti a cui si sottopone. Gli allenamenti possono essere positivi, come lo sviluppo di un talento, o negativi, come un disimpegno reiterato che deprime le potenzialità. La plasticità rende la fase dell’adolescenza la fase principe di preparazione alla vita che si sceglie o che, a volte, non si sceglie ma è scelta da altri. Per questo la chiamiamo adolescenza, che deriva da adolescens, “colui che si nutre”. L’adolescenza ha tre fasi: la scelta (chi voglio essere); la preparazione (la formazione dei miei valori e capacità); la realizzazione (gli obiettivi e le strategie). In ballo è la creazione della propria identità.

Esiste però anche un’altra adolescenza, quella esistenziale. Dura molto di meno, di norma non più di due anni, e ritorna più volte nel corso della vita. Il cervello è meno plastico, ma la forza mentale dovrebbe essere ben più alta. E’ un’adolescenza che si apre in momenti di cambiamento che richiedono bilanci e scelte. In teoria è una nuova opportunità di autorealizzazione, dove si rivivono le stesse fasi dell’adolescenza fisiologica: scelta, preparazione e realizzazione di sé.

Ad aprire un’adolescenza esistenziale spesso è una crisi paradigmatica: uno o più paradigmi che costituiscono la nostra visione della vita sono messi in discussione. I paradigmi sono significati sentimentali, che hanno norme di condotta, fini da raggiungere e criteri di valutazione della realtà. Ogni aspetto della nostra vita identitaria ha un rivestimento paradigmatico. Il rapporto con noi stessi, le relazioni affettive, il lavoro e la visione della vita sono architetture paradigmatiche del nostro Sè che costruiamo per scelta. Danno senso, significato e direzione alla nostra esistenza. Il fallimento di un paradigma può essere innescato da eventi banali o particolari, spesso di carattere opposto: scoprire di avere una malattia oppure guarirne; la fine, scelta o subita, di una relazione o la nascita di una nuova; perdere una persona cara o crescere un figlio; realizzare la propria vocazione o decidere di cambiare lavoro, ecc. ecc. L’importante è il vissuto più del fatto. Pirandello ci ha mostrato che la crisi identitaria può nascere da un fatto banale, come il commento di Dida al marito Moscarda sul suo naso in Uno, nessuno e centomila; Svevo ha raccontato come la Grande Guerra trasforma il simpatico Zeno dell’ultima sigaretta in uno speculatore, un pescecane che approfitta dell’immane tragedia per fare profitto in una visione della vita catastrofica.